Josè Saramago, premio Nobel per la letteratura, nel 1998 scrisse Il racconto dell’isola sconosciuta. Si tratta di un’incantevole favola d’amore, magistralmente sospesa tra realtà e sogno.
Da essa traggo un dialogo che ci può servire per le nostre riflessioni.
–Datemi una barca, disse l’uomo.
-E voi, a che scopo volete una barca, si può sapere, domandò il re.
-Per andare alla ricerca dell’isola sconosciuta, rispose l’uomo.
-Sciocchezze, isole sconosciute non ce ne sono più. Sono tutte sulle carte.
-Sulle carte geografiche ci sono solo le isole conosciute.
-E qual è quest’isola sconosciuta di cui volete andare in cerca.
-Se ve lo potessi dire allora non sarebbe sconosciuta.
Ecco. Partiamo da qui per significare che l’utopia oggi pare un’eresia perché nel mondo regna un’ideologia del presente e dell’evidenza che sembra rendere obsoleti sia le lezioni del passato sia il desiderio d’immaginare un avvenire diverso. È un’ideologia che si esprime in modi diversi, ma che rimane sempre prigioniera della ragion pratica e del discorso ad effetto immediato.
Un degrado che bandisce il sogno e la poesia, l’arte e la cultura, la diversità e la sorpresa, involgarendo il mondo ed appiattendo il suo orizzonte sui bassi latifondi del possesso e del consumo.
Un declivio che parte da lontano e che Ernesto Balducci già nell’anno 1979 denunciava in una delle sue bellissime omelie: «Siamo spettatori di una fase di civiltà in cui tutto consiste nell’assottigliare al massimo lo spessore delle attese umane; nello stabilire una equazione tra le cose che si possono avere e ciò che si deve desiderare, in modo da mutilare l’universo dei desideri che è dentro di noi e da toglierci il senso dell’indigenza dell’esistere».
Questo è avvenuto, ad opera dei persuasori occulti che oltre a togliere pane e libertà, vogliono strappare anche i sogni.
L’Isola che non c’è
In questa umanità desertificata e sterilizzata di ogni sogno e di ogni ardire appare chiaro, allora, perché Tommaso Moro, e con lui tutti i sognatori, parlano e cantano dell’Isola che non c’è…
Ricordate le bellissime parole della canzone di Edoardo Bennato?
«Son d’accordo con voi – non esiste una terra – dove non ci son santi né eroi – e se non ci son ladri – se non c’è mai la guerra – forse è proprio l’Isola – che non c’è… che non c’è…
E non è un’invenzione – e neanche un gioco di parole – se ci credi ti basta perché – poi la strada la trovi da te…
Son d’accordo con voi – niente ladri e gendarmi – ma che razza di isola è?! – Niente odio e violenza, – né soldati né armi – forse è proprio l’Isola che non c’è… che non c’è…
(……)
E ti prendono in giro – se continui a cercarla – ma non darti per vinto perché – chi ci ha già rinunciato – e ti ride alle spalle – forse è ancora più pazzo di te!».
Perché, dunque, l’isola?
Perché l’isola, per essere raggiunta, richiede un cammino. L’isola esige che si abbandoni il continente e che ci si ponga una meta “altra” da raggiungere.
L’isola, prima di esistere, ha bisogno di essere sognata.
E i sogni confliggono con la realtà.
I sogni generano uomini e donne che mal si adattano alla realtà così come essa è.
I sogni partoriscono ribelli.
I sogni sono pericolosi, sono gli incubi dei potenti. Eduardo Galeano nella sua trilogia “Memoria del Fuoco”, parla di un documento del 1543 nel quale il re di Spagna vieta agli indigeni peruviani di leggere favole e raccontare i loro sogni.
«Coloro che oggi camminano con la testa per aria saranno gli unici ad aver ragione domani», scriveva don Tonino Bello.
Una politica da sogno
Nell’attuale impasse nella quale ci troviamo e che qualcuno ha battezzata con un neologismo molto indicativo, la “Democratura”, è nostra convinzione che non si può far politica senza muoversi, progettare e governare all’interno di un orizzonte utopico.
«Sta sempre dove c’è l’orizzonte, scrive Eduardo Galeano. Mi avvicino di due passi, e lei si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e lei si affretta a spostarsi dieci passi più in là. Per quanto continui a camminare, non la raggiungerò mai. A che serve l’Utopia? A questo, a nient’altro che a camminare».
A chiusura di queste considerazioni vogliamo consegnare un invito che lo stesso Eduardo Galeano pone a chiusura del suo bellissimo libro “A Testa in giù”, sotto il titolo: “Il diritto al delirio”.
Si era al passaggio tra il secondo e il terzo millennio e scriveva:
«Anche se non possiamo indovinare il tempo che verrà, abbiamo almeno il diritto di immaginare come vorremmo che fosse.
Nel 1948 e nel 1976 le Nazioni Unite proclamarono estese liste di diritti umani; però l’immensa maggioranza dell’umanità ha solo il diritto di vedere, udire e tacere.
Che cosa ne dite di cominciare a esercitare il mai proclamato diritto di sognare?
Che cosa ne dite di delirare un po’, per un attimo?
Andiamo a fissare gli occhi più in là dell’infamia, per indovinare un altro mondo possibile:
l’aria sarà priva di qualunque veleno che non sia prodotto dalle paure umane e dalle umane passioni;
per le strade le automobili saranno calpestate dai cani;
la gente non sarà guidata dalla macchina, né programmata dal computer, né comprata dal supermercato, né guardata dal televisore;
il televisore smetterà di essere il membro più importante della famiglia e sarà trattato come il ferro da stiro o la lavatrice;
la gente lavorerà per vivere, invece di vivere per lavorare;
si aggiungerà ai codici penali il delitto della stupidità, commesso da chi vive per avere o per guadagnare, invece di vivere semplicemente per vivere, come l’uccello canta senza sapere di cantare o come il bambino gioca senza sapere di giocare;
in nessun paese verranno arrestati i ragazzi che si rifiutino di fare il servizio militare, bensì quelli che vogliano farlo;
gli economisti non chiameranno livello di vita il livello di consumo, né chiameranno qualità della vita la quantità delle cose;
i cuochi non crederanno che alle aragoste piaccia essere bollite vive;
gli storici non crederanno che ai paesi piaccia essere invasi;
i politici non crederanno che ai poveri piaccia mangiare promesse;
nessuno morirà di fame, perché nessuno morirà di indigestione;
i bambini di strada non saranno trattati come spazzatura, perché non ci saranno più bambini di strada;
i bambini ricchi non saranno trattati come denaro, perché non ci saranno più bambini ricchi;
l’istruzione non sarà privilegio di coloro che possano pagarla;
la polizia non sarà la maledizione di coloro che non possano comprarla;
la giustizia e la libertà, sorelle siamesi condannate a vivere separate, si riuniranno, ben appiccicate, schiena contro schiena;
la Chiesa, inoltre, detterà un altro comandamento, di cui il Signore si era dimenticato: «Amerai la natura di cui fai parte»;
saranno rimboschiti tutti i deserti del mondo e i deserti dell’anima;
saremo compatrioti e contemporanei di tutti coloro che abbiano volontà di giustizia e volontà di bellezza, ovunque siano nati e in qualunque tempo abbiano vissuto, senza che contino nemmeno un po’ le frontiere dello spazio o del tempo;
la perfezione continuerà a essere l’annoiato privilegio degli dei; ma in questo mondo maldestro e fottuto, ogni notte sarà vissuta come se fosse l’ultima, e ogni giorno sarà vissuto come se fosse il primo».