Gianni Guizzardi 
UNBORN MAN

L’idea è molto semplice, l’effetto sorprendente. Gianni Guizzardi ha pensato di fotografare un manichino dechirichiano nel luogo della provincia di Ferrara più metafisico in assoluto: il paese di Tresigallo.

Il semplice atto di posizionare un manichino tra gli archi della piazza con una luce in cui le ombre si stagliano in modo netto e deciso, ha immerso i consueti scenari urbani in un’atmosfera di sospesa irrealtà.

Questa progressiva astrazione dal reale inizia con tonalità dai colori accessi della luce del meriggio, per sfaldarsi progressivamente nelle diverse tonalità dei grigio-scuri, in atmosfere oniriche.

Il manichino inteso come inizio di una trasformazione tra il metafisico e il fisico, attraverso l’uomo che prende forma e vaga nella realtà urbana.

La figura del manichino, simbolo dell’uomo-automa contemporaneo, protagonista di molti dipinti realizzati a Ferrara nel 1917, fu ispirata a De Chirico dall’uomo senza volto, personaggio di un dramma del fratello scrittore Alberto Savinio. Rappresenta la devitalizzazione, quasi una pietrificazione perenne dell’uomo. Il dramma della guerra assume per il pittore questa veste disumana, in un mondo la cui pazzia ci rende tutti automi nelle mani di un destino imperscrutabile.

Sul ruolo del manichino possiamo consultare una preziosa testimonianza dell’artista del 1942: “Il manichino è un oggetto che possiede a un dipresso l’aspetto dell’uomo, ma senza il lato movimento e vita; il manichino è profondamente non vivo e questa sua mancanza di vita ci respinge e ce lo rende odioso. Il suo aspetto umano e nello stesso tempo mostruoso, ci fa paura e ci irrita. Quando un uomo sensibile guarda un manichino egli dovrebbe essere preso dal desiderio frenetico di compiere grandi azioni, di provare agli altri ed a se stesso di che cosa è capace e di dimostrare chiaramente ed una volta per sempre che il manichino è una calunnia dell’uomo e che noi, dopo tutto, non siamo una cosa tanto insignificante che un oggetto qualunque possa assomigliarci“.

Gianni Guizzardi parte da questo concetto per superarlo: se in De Chirico il manichino assume le valenze di un “dio ortopedico”, Guizzardi lo rende protagonista di una progressiva umanizzazione, che svela la sua consistenza fisica, paradossalmente, nelle ombre, che diventano simulacri di reali parvenze umane. Unborn man appunto, l’uomo che deve nascere: un invito a superare l’aridità dei nostri tempi alla riscoperta dei valori più autentici che ci rendono umani.

Le ombre di due amanti che si rivelano tali nella loro vicinanza, diventano così un segno di speranza per il futuro rispetto ad “Ettore ed Andromaca”, drammatica opera di De Chirico in cui la coppia è rappresentata da due manichini, figure atemporali simboleggianti lo strazio del momento dell’addio dello sposo in partenza per la guerra.

Allo stesso modo, le forme geometriche e le squadre che nelle opere di De Chirico rappresentano l’assurdità dei tracciati della vita, i misteri legati alla cabala, emergono nelle fotografie di Guizzardi attraverso dettagli dell’arredo urbano estrapolati nella loro limpida geometria. Come a voler rendere “visibile l’invisibile”, compito che De Chirico riserva appunto all’artista, l’unico che, vedendo con chiarezza nel passato e nel futuro, può riscattare l’uomo dal suo destino, suggerendogli la via da percorrere.

UNBORN MAN si inserisce nel ricco circuito di iniziative legate all’esposizione “De Chirico a Ferrara. Metafisica e Avanguardie” di Palazzo dei Diamanti a Ferrara (www.palazzodeidiamanti.it/altre mostre).

Maria Livia Brunelli

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